Astrofisica delle alte energie

La linea di ricerca

L’Astrofisica delle alte energie studia quei fenomeni che generano radiazione o particelle di alta energia nell’universo. Tali fenomeni avvengono in luoghi che possiamo definire “estremi”, dai resti di Supernova alle stelle di neutroni fino ai buchi neri: studiarli permette sia di comprendere i meccanismi che li hanno generati (e quindi l’universo che ci circonda), sia di investigare il comportamento della materia in condizioni così particolari da non essere riproducibili nei laboratori terrestri. Con il termine “alte energie” intendiamo tutta quella radiazione che va dai raggi X fino ad arrivare ai raggi Gamma, la radiazione più energetica che esista.

Allo IAPS ci occupiamo di studiare molte delle sorgenti che popolano il cielo alle alte energie: innanzitutto ci dedichiamo all’osservazione di quelle presenti nella nostra galassia. In questo caso, uno dei meccanismi più comuni tra quelli che portano un oggetto a emettere emettere alle alte energie è il passaggio di materia da una stella verso un oggetto “compatto” (una nana bianca, una stella di neutroni o un buco nero) in orbita attorno ad essa. Durante questo trasferimento di materia, l’energia gravitazionale liberata scalda la materia fino a temperature di milioni di gradi, portandola ad emettere raggi X. Questa stessa energia può essere utilizzata per accelerare particelle fino a velocità prossime a quella della luce (attraverso meccanismi ancora non del tutto compresi), emettendo i cosiddetti “getti”. Sorgenti di questo tipo, dette binarie, sono generalmente molto variabili : si pensi che la loro luminosità può aumentare o diminuire di milioni di volte in poche settimane.

Un’altra classe di sorgenti ad alte energie sono i resti di supernovae, ciò che rimane dall’esplosione di singole stelle più massicce del Sole che hanno esaurito il loro combustibile nucleare. In questo caso, gli strati esterni della stella vengono lanciati nello spazio interstellare a grande velocità, si scaldano emettendo raggi X e accelerando particelle che a loro volta emettono radiazione X e gamma Il nucleo della stella esplosa può trasformarsi in una nana bianca e, nel caso in cui la stella iniziale avesse un massa di almeno centinaia di volte quella del Sole, in una stella di neutroni. Questi oggetti hanno un campo magnetico molto intenso e questo comporta che la loro emissione, che può arrivare alle energie della banda X e della banda gamma, avvenga soltanto lungo i poli creando un “effetto faro” (da cui la pulsazione). Dalla loro rotazione vengono generati dei venti stellari rapidissimi che interagiscono col mezzo circostante e con i resti della supernova d’origine

Altro argomento di osservazione e studio è quello dei buchi neri “supermassivi”, formati dall’unione di buchi neri più piccoli e presenti al centro di quasi tutte le galassie (inclusa la nostra). Anche in questo caso l’emissione è dovuta alla conversione dell’energia gravitazionale del materiale che cade nel buco nero e può manifestarsi con la generazione di radiazione nelle vicinanze dell’oggetto compatto o con la produzione di poderosi getti di particelle che emettono radiazione a tutte le lunghezze d’onda e che possono influenzare l’evoluzione della galassia stessa.

I Gamma Ray Bursts rappresentano le esplosioni più brillanti dopo il Bing Bang, generate dalla fine di stelle particolarmente massicce o dalla “fusione” di due oggetti compatti. La quantità di energia emessa in questo tipo di fenomeni è così elevata da illuminare la materia intergalattica presente lungo il tragitto della radiazione che arriva fino a noi e permetterci così di osservarla e studiarla. Negli ultimi anni i Gamma Ray Bursts sono stati osservati anche attraverso la loro emissione di onde gravitazionali, teorizzate da Einstein e misurate per la prima volta solo nel 2014 a causa del loro segnale davvero molto debole Le onde gravitazionali non fanno parte dello spettro elettromagnetico ma sono un modo alternativo alla radiazione di trasportare informazione. La possibilità di utilizzare canali differenti (che siano radiazione elettromagnetica, particelle o onde gravitazionali) per studiare una stessa categoria di oggetti, permette di unire nuove informazioni a quelle già disponibili per avere una visione completa del fenomeno che stiamo osservando.  In questo caso parliamo di astrofisica multimessagera.

Tutti gli oggetti di cui abbiamo parlato, che non completano del tutto il catalogo di oggetti alle alte energie, sono coinvolti in qualche modo nell’accelerazione di particelle (principalmente elettroni) e di raggi cosmici, protoni e nuclei ad altissime energie che ci bombardano da ogni parte della nostra Galassia e non solo. La comprensione dell’origine dei raggi cosmici, del modo in cui vengono accelerati e in cui si propagano fino a noi è oggi uno degli argomenti più discussi nel campo delle altissime energie. Tra i maggiori candidati come loro sorgenti ci sono i resti di supernova, le pulsar e i cosiddetti ammassi stellari compatti, un insieme molto denso di stelle in cui l’effetto collettivo di resti di Supernova e venti emessi dalle pulsar potrebbe accelerare i raggi cosmici. Per indagare le caratteristiche di  queste particelle cosmiche è possibile, una volta che vengono accelerati, studiarne l’interazione  con il mezzo che incontrano, e dalla quale risulta un’emissione di  radiazione gamma.

Gli oggetti celesti sopra descritti vengono studiati attraverso la raccolta, l’analisi e l’interpretazione dei dati ottenuti da telescopi molto particolari. La radiazione ad alta energia viene completamente assorbita dall’atmosfera terrestre, per cui gli strumenti dediti al suo studio devono essere posizionati nello spazio a bordo di satelliti in orbita intorno alla Terra o al Sole. 

Nel caso della radiazione gamma, i fotoni non possono essere messi a fuoco perché oltrepasserebbero qualsiasi specchio o lente provassimo a utilizzare. Di conseguenza i satelliti che la studiano sfruttano l’interazione dei fotoni con la materia di cui è fatto il rivelatore per ricostruire la direzione da cui proviene il segnale. Questo metodo risulta inefficiente per lo studio della radiazione e delle particelle alle energie gamma più estreme  talmente energetiche da non poter essere “imprigionate” nei nostri rivelatori, oltre che statisticamente molto poco frequenti. Di conseguenza ciò che si fa è sfruttare la loro interazione con gli strati più alti dell’atmosfera terrestre: a questa interazione viene generata una pioggia di particelle secondarie, misurate dai rivelatori posizionati sulla Terra a migliaia di metri di altitudine, in grado di ricostruire, dalla forma e dalle caratteristiche del segnale ricevuto, il segnale di partenza e la sua direzione nel cielo.



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