Un occhio elettronico rispettoso della realtà che osserva. In grado di cogliere in un unico sguardo l’immagine dell’oggetto studiato e la “lista degli ingredienti” in esso contenuti. Preziose tele d’autore, rari frammenti di roccia piovuti dal cielo… se l’obiettivo è analizzarne in dettaglio la composizione, l’occhio di SpIm (Spectral Imaging Facility) è senza rivali. Anzitutto, è l’unico spettrometro a immagine esistente sensibile a lunghezze d’onda fino a 5 micron. Da record anche la sua risoluzione spaziale: inferiore a 40 micron, grazie al sistema di sincronizzazione fra gli spostamenti del porta-campione e le acquisizioni delle immagini spettrali. Nessun altro spettrometro al mondo è attualmente in grado di ottenere immagini con un’estensione spettrale e una risoluzione simili.
Finanziato dall’ASI, progettato e realizzato grazie ad una collaborazione tra gli istituti IFSI e IASF di Roma dell’INAF e Selex-Galileo, SpIm è in grado di fornire dati che, usati in sinergia con quelli di spettrometri analoghi in volo su diverse missioni spaziali (come VIR, VIRTIS, VIMS e VIHI), permettono di aumentare le nostre conoscenze sui pianeti e sui corpi minori del Sistema solare.
Pur così preciso e potente, SpIm sa essere anche incredibilmente delicato, permettendo di eseguire analisi non distruttive: quello che ci vuole per studiare frammenti rari o preziosi. Reperti archeologici, opere d’arte o meteoriti, certo. Ma SpIm è lo strumento perfetto anche per studiare in dettaglio campioni geologici in situazioni di criticità, come le colate laviche durante le eruzioni. Oppure, istallando la strumentazione su piattaforme aviotrasportate, per creare database spettrali utili nel monitoraggio del territorio, dell’atmosfera e dei beni ambientali.